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HIV in gravidanza

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HIV IN GRAVIDANZA




La sindrome da immunodeficienza acquisita ( acquired immunodeficiency syndrome, AIDS ) è una malattia virale ad andamento epidemico che colpisce in prevalenza giovani adulti e bambini; le manifestazioni cliniche sono costituite da infezioni opportunistiche e da insolite forme di tumori maligni ( Es. il sarcoma di Kaposi ) favorite da una gravissima compromissione della rispota immunitaria cellulomediata.

L'agente eziologico è un retrovirus umano ( human immunodeficiency virus, HIV ) di cui sono noti due sierotipi ( 1 e 2 ). L'HIV può essere trasmesso per via parenterale con la trasfusione di sangue o di emoderivati infetti, con l'inoculazione di piccole quantità di sangue contaminato attraverso lo scambio di siringhe tra tossicodipendenti o per contatto accidentale con aghi e strumenti infetti e con rapporti sessuali.

Una donna HIV positiva può trasmettere l'infezione al figlio durante la gravidanza, al momento del parto o dopo la nascita con l'allattamento. L'OMS calcola che HIV-1 abbia già infettato al mondo oltre 34 milioni di persone.

La situazione epidemiologica attuale, con prevalente interessamento di giovani uomini e donne in età fertile rappresenta un rischio potenziale aggiuntivo di diffuzione dell'infezione, sia attraverso rapporti sessuali sia per trasmissione materno-fetale. La probabilità di trasmissione materno-fetale oscilla tra percentuali piuttosto alte in Africa ( 35% ) e percentuali più contenute in Europa ( 14% ).

Il trattamento antiretrovirale della donna gravida riduce notevolmente il rischio di trasmissione. In Italia la diminuzione dell'incidenza dei casi di AIDS pediatrici, iniziata già nel 1996 è l'effetto delle campagne di educazione e prevenzione e, contemporaneamente, dell'applicazione delle linee guida relative al trattamento antiretrovirale delle donne in gravidanza ed al parto cesareo, particolarmente se effettuato prima della rottura delle membrane.

Fra i casi pediatrici il 94% è rappresentato dalla trasmissione verticale dell'HIV, mente i rimanenti sono dovuti a trasfusione o emoderivati. Nella maggior parte dei casi il contagio si verifica in epoca perinatale durante il passaggio del feto nel canale del parto per esposizione al sangue d alle secrezioni vaginali infette o attraverso l'allattamento al seno. Il parto per via vaginale, un travaglio prolungato e un livello di viremia elevato sono associati ad un aumento del rischio di infezione.

La progressione della malattia è più rapida nei bambini infettai precocemente; la maggior parte di essi diventa sintomatico nei primi due anni di vita ed il 40% sviluppa AIDS nei primi 4 anni di vita. la gestante HIV-positiva deve essere trattata, in base alla situazione clinica, immunologica e virologica con gli stessi farmaci anti-HIV che vengono utilizzati nella donna non gravida.

Peraltro, non essendo noti tutti gli effetti collaterali a lungo termine degli antiretrovitrali, la decisione terapeutica deve essere discussa con la donna, ed i ba,mbini nati dopo esposizione in utero ai farmaci antiretrovirali devono, dopo la nascita, essere seguiti per un lungo periodo.

Le donne che non sono mai state trattate dovrebbero iniziare la terapia dopo la 12^ settimana di gestazione per evitare possibili effetti di teratogenicità nel delicato periodo dell'organogenesi fetale. Tra i farmaci consigliati la zidovudina, somministrata dopo la 14^ settimana di gestazione, durante il parto ed al neonato per le prime 6 settimane di vita, si è dimostrata efficace nel ridurre del 66% il rischio di tasmissione verticale.

Attualmente le donne gravide vengono sottoposte a regimi anti-HIV con più farmaci in associazione, allo scopo di mantenere la viremia HIV negativa, in quanto l'aumento delle viremia è direttamente correlato ad una più alta trasmissione verticale, anche se la trasmissione madre-figlio è stata riportata a qualunque livello di viremia.

Continuano gli studi clinici per determinare l'efficacia e la sicurezza di varie associazione antiretrovirali: zidovudina, lamivudina, nevirapia e inibitori delle proteasi quali ritonavir, indinavir, nelfinavir.

Nelle gestanti con infezione HIV non vi sono criteri univoci di diagnosi del complesso TORCH, si raccomanda pertanto la ricerca di anticorpi per tutte le infezioni con particolare attenzione alle donne con una conta di linfociti CD4<100/ul, per la particolare frequenza di riattivazione delle infezioni, in particolare dall'infezione da CMV.

Sono di rilevante importanza i test per la sifilide; le pazienti risultate negative, qualora persista il fattore di rischio, devono ripetere il test nel terzo mese di gravidanza, mentre le donne con pregressa diagnosi già trattate devono essere sottoposte a indagini periodiche, per escludere una reinfezione o un insuccesso terapeutico.




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